Il 2020 è stato un anno in cui siamo stati costretti a ripensare un sacco di cose. Ci siamo posti domande come queste: "È sicuro mangiare in un ristorante al chiuso?" e "La mia produttività diminuisce se non sono nello stesso locale con i miei colleghi?".
A partire dal 2021 abbiamo l’opportunità di assumere una mentalità lungimirante e decisionista. Che cosa occorre per ripensare le cose in modo efficace – mettendo in discussione opinioni, certezze e conoscenze – e trasferire questa nuova mentalità a livello di cultura della propria azienda? Recentemente ho discusso di questi argomenti con il CEO di WeWork Sandeep Mathrani in occasione del WeWork Innovation Summit. È possibile seguire la conversazione on demand qui.
Instaurate una cultura di sicurezza psicologica
La sicurezza psicologica è la sensazione di potersi assumere dei rischi senza essere sanzionati. È possibile dire: "Non so" o "Ho sbagliato", oppure chiedere aiuto.
È stato ampiamente dimostrato che quando il personale si sente psicologicamente sicuro rischia effettivamente di commettere meno errori. Sappiamo anche che la sicurezza psicologica è un potente motore trainante dell’innovazione, perché quando le persone sentono che possono assumersi dei rischi danno libero sfogo alle loro idee. Quando invece sentono che non possono, si chiudono in sé stesse.
Pensate a un capo che dicesse: "Non portatemi problemi, portatemi soluzioni". Si tratta di un atteggiamento pericoloso, perché se le persone parlano solo quando hanno una soluzione, non verrete mai a conoscenza dei problemi più importanti, quelli che una singola persona non è in grado di risolvere.
Il fondamento della sicurezza psicologica consiste nell’instaurare un ambiente in cui anche l’ultima ruota del carro ha il coraggio di sollevare questioni, pur non avendone l’autorità, l’esperienza o le risorse per farlo. È qui che inizia l’instaurazione di una cultura in cui le persone hanno di nuovo voglia di pensare.
Circondatevi di sgradevoli giver
I giver sono persone che sono sempre a chiedere: "Che cosa posso fare per te?". Dicono sempre la loro e s’impegnano a risolvere i problemi. I giver vogliono fare cose che non gli competono, ma sono fondamentali per il successo del gruppo.
I taker, invece, sono persone che vogliono sapere: "Che cosa puoi fare per me?". I taker vogliono monopolizzare progetti interessanti e visibili, lasciare agli altri i lavori noiosi e fare la parte del leone per quanto riguarda i riconoscimenti dei risultati del lavoro di gruppo.
Ma vi sono anche dei tratti caratteristici che contraddistinguono le persone piacevoli da quelle spiacevoli. Le persone piacevoli sono cordiali, amichevoli ed educate. Quelle spiacevoli sono più critiche, scettiche e provocatorie.
L’essere piacevole o spiacevole è il tratto esterno del carattere delle persone, ovvero quanto sia piacevole interagire con loro mentre il dare e l’avere reciproci sono motivazioni interne, i loro valori e le loro intenzioni quanto interagiscono con gli altri.
I giver piacevoli potrebbero sembrare i migliori membri possibili della rete di supporto, perché amano incoraggiare, rassicurare e tifare per gli altri. Il problema è che le persone piacevoli non amano i conflitti, e spesso evitano di dire agli altri che cosa dovrebbero riconsiderare.
Per poter pensare e ripensare in modo efficace, nella rete servono i giver sgradevoli. Si tratta di persone che apparentemente sono rudi e scontrosi, ma sono così perché cercano di essere d’aiuto. Mettono in discussione perché si preoccupano. Pongono domande scomode e forniscono riscontri critici che non si vorrebbero mai sentire ma che a volte è necessario sentire.
Costituite una rete di stimoli
La rete stimolante è costituita da un gruppo di persone di cui vi fidate perché demoliscano le vostre idee. Comprende giver spiacevoli, le persone che ci danno quel senso di fiducia di cui abbiamo bisogno per riesaminare quello che è sempre stato il nostro modo di procedere.
Se si sottopone a un giver spiacevole una prassi, un’idea o una decisione, questi li distruggerà per renderli migliori. Essi non solo sono propugnatori convinti di una mentalità nuova e non convenzionale, ma sono anche quelli più credibili.
Negli ultimi anni sono stato in contatto con i miei critici più oculati, i migliori rompiscatole che ho conosciuto nella mia vita professionale, e ho detto loro: "Sentite, forse non lo sapete, ma vi considero uno dei membri fondatori della mia rete di stimoli".
Ho detto loro che alcune volte non ho preso bene i loro riscontri. Talvolta ho assunto un atteggiamento difensivo. Talaltra li ho bollati come insensati, e li ho rifiutati. Ma ho sempre apprezzato il modo con cui mi hanno spinto a far meglio.
"E se mai avete esitato a dirmi che cosa pensate realmente perché avete paura di danneggiare il nostro rapporto o darmi fastidio, non fatelo più – ho detto loro, e poi – l’unico modo in cui potete darmi fastidio è non dirmi la verità".
Questa conversazione ha messo quelle persone in condizioni di darmi dei riscontri molto più proficui di quanto non avrebbero potuto darmi altrimenti.
Mettete in discussione le migliori prassi
L’idea esatta di migliori prassi mi spaventa un po’. Perché nel momento in cui si dichiara che una prassi è la "migliore", in quel preciso momento si dichiara anche che non c’è nulla che si possa migliorare.
Anziché migliori prassi dovremmo forse cercare delle prassi migliorative. Un modo per farlo è smetterla di pensare come un predicatore o un pubblico ministero, e iniziare a pensare di più come uno scienziato.
Se si pensa come un predicatore o un pubblico ministero, si dedica troppo tempo a fare proselitismo delle proprie idee e a cercare di dimostrare di aver ragione a qualcuno che la pensa diversamente. Se si pensa come un scienziato non si vuole che le proprie idee vengano a coincidere con la propria identità, il che può rendere molto più flessibili per poter ripensare le cose.
Significa che quando il lancio di un prodotto o di un servizio non funziona, si dice "Bene, mi ero sbagliato o ce l’ho messa tutta ma senza successo. Adesso devo ripensare il prodotto, il servizio o la strategia di marketing" e questa flessibilità consente di provare qualcosa che abbia maggiori probabilità di funzionare.
Il bello di pensare come uno scienziato è che si viene motivati a cercare le ragioni per cui si potrebbe essere in errore, non solo le ragioni per cui si potrebbe essere nel giusto.
Abbandonate il brainstorming a favore del brainwriting – ovvero buttate giù tutto quello che vi viene in mente
Ovviamente, si deve avere la certezza che le migliori idee siano sul tavolo. E il modo in cui la maggior parte di noi lo fa è dire "Tiriamo fuori quello che ci viene in mente".
Ma da più di 40 anni è dimostrato che si ottengono molte più idee – e anche migliori – lasciando le persone libere di lavorare come credono. Riscontriamo regolarmente tre cose che non vanno negli incontri di brainstorming:
1. Blocco della produzione: non è possibile parlare tutti assieme in un gruppo, per cui alcune idee vanno perdute.
2. La paura di fare la figura degli stupidi: le persone si astengono dall’esprimere le idee più originali.
3. L’effetto HIPPO: dalle iniziali di "Highest-Paid Person’s Opinion", ovvero l’opinione della persona maggiormente retribuita, e non appena lo si viene a sapere gli altri le vanno dietro, con la conseguenza che tutti finiscono col pensarla nello stesso modo e si perdono le opinioni diverse.
La soluzione più semplice per tutti questi problemi è passare dal brainstorming al brainwriting. Date il "la" in anticipo alle persone e lasciatele pensare da sole, sapendo che i singoli producono un maggior numero di idee ed anche più brillanti rispetto al gruppo.
Quindi, quando tutti hanno messo sul tavolo le loro idee, lasciate che sia il gruppo a sceglierle e a metterle a punto. Affidatevi alla saggezza della folla per tirar fuori le idee che vale veramente la pena di sviluppare.
Le tecnologie virtuali sono state progettate per il brainwriting. A tal fine la finestra della chat in una videoconferenza è l’ideale. Convoco le persone a una riunione e dico: "C’è qualcosa che dobbiamo ripensare. Vi do dieci minuti per pensarci, dopodiché mi dite che cosa ne pensate nella finestra della chat. Poi tutti assieme riesamineremo le idee e ne discuteremo".
Idealmente, il responsabile non dovrebbe esprimere la sua idea fino a quandi tutti gli altri non hanno espresso le loro, e così facendo essi si sentiranno meno sotto pressione a conformarsi all’HIPPO.
Mettete in atto una collaborazione intermittente
La mia collega Anita Woolley ha studiato gruppi software virtuali che lavorano in remoto e ha riscontrato che vi erano tre modelli di comunicazione predominanti:
1. Bassa frequenza, alta intensità: i gruppi non erano in contatto tutti i giorni, ma quando lo erano, avvenivano scambi di messaggi nei due sensi.
2. Alta frequenza, bassa intensità: quando i gruppi erano in contatto più regolarmente, il numero di messaggi l’ora era inferiore.
E i dati hanno dimostrato che è proprio quell’intensità, e non la frequenza, che rende possibile la produttività, la creatività e la collaborazione remota. I gruppi a bassa frequenza e alta intensità sono stati in grado di adottare un modello noto come "burst enos", in cui la collaborazione è in grado di esplodere letteralmente sprigionando energia e idee.
L’impegno è maggiore quando si è sincronizzati con le persone del proprio gruppo, per cui grazie a queste esplosioni le persone si impegnano in una collaborazione intermittente.
Potevano lavorare indipendentemente per qualche giorno, producendo un gran numero di idee. Inoltre non si limitavano a fare riunioni, ma lavoravano anche assieme, nel senso che sapevano quali colleghi erano online, pronti per intervenire in caso di problemi o di richieste di aiuto.
Quando si dà alle persone l’opportunità di collaborare in modo intermittente, le si lasciano lavorate individualmente, per poi dedicare del tempo al lavoro di gruppo.
Nei prossimi mesi i responsabili aziendali – dalle startup alle multinazionali – continueranno a chiedersi: "Come organizzare dei gruppi di persone facendo sì che il contributo complessivo sia superiore alla somma dei singoli contributi?". La risposta viene da queste idee.
È possibile seguire la conversazione on demand qui.
Adam Grant è docente di psicologia organizzativa alla Wharton School dell’University of Pennsylvania, ed è autore del bestseller "Think Again: The Power of Knowing What You Don’t Know" ed è host di "WorkLife, a TED Original Podcast".